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Bufera sul M. Tambura

A cura di: G. Fogli, alias Kanguro

Credo che tutti noi vecchi speleo abbiamo delle storie da raccontare, a volte quelle poche righe scritte su Sottoterra nascondano racconti epiche e fatiche disumane, consolidamento di amicizia, giochi di squadra ma che fa emergere fra le righe la vera anima del gruppo. Leggere l’ultimo Sottoterra mi ha accesso diversi ricordi di avventure di 40 anni di speleologia.

Erano gli anni ’90, siamo partiti da Bologna in 5 (io, Guidotti, Adriano, Catta e Milena), l’idea: armare l’abisso Roversi fino alla fessura di meno 275 e iniziare una punta veloce.

Entriamo solo in 3, Catta rimarrà fuori con Milena, Adriano si era dimenticato la tuta e entrerà solo in blue jeans e felpa… ha sempre amato fare cose eroiche.

Tutto fila liscio però quando arriviamo alla fessura siamo gia stanchi, valutazione sommaria ma ci rendiamo conto che non siamo in condizioni di proseguire. Adriano patisce un gran freddo e, anche se è il piu giovane e un gran tosto, ha un limite anche lui. Peccato… bastava ancora un pò, perchè da lì passerano i polacchi l’anno dopo, ma questa è un’altra storia.

E’ notte fonda quando usciamo e l’intera montagna è avvolta dalle nuvole e percossa da venti gelidi e violenti. Abbiamo 2 sacchi a testa, non abbiamo tempo di riposare e Adriano ha molto freddo, quindi vuole raggiungere il rifugio Aronte in fretta. Non si vedeva niente fra buio e nebbia fitta, il vento è fortissimo, non riusciamo a sentirci a pochi metri fra di noi.

Percorriamo il sentiero di cresta ma non riusciamo a stare in piedi per le raffiche di vento quindi decidiamo tornare a rifugiarci in grotta ma… non troviamo piu l’ingresso! A un certo punto Adriano e Valerio, disorientati dalla bufera, iniziano a scendere il Tambura lato mare.

Da quel versante non si può scendere perchè ci sono dei salti e precipizi, lo so bene! Provo a urlare a squarcia gola ma non mi sentono e non li vedo più, sono scomparsi nella nebbia. Allora provo a scendere anch’io, la situazione è tragica. Riesco a trovarli: con un colpo di fortuna si erano fermati e li convinco a lasciare i pesanti sacchi in quel punto per viaggiare piùveloci. Bisogna tornare nel versante opposto e a fatica raggiungiamo la cresta che iniziamo poi a scendere lato della cava ma… non siamo più in condizioni di proseguire, siamo stanchissimi.

Bivacchiamo in quel punto aspettando una schiarita o l’alba perchè siamo veramente al limite. Ci rannicchiamo tutti e 3 cercando di scaldarci a vicenda e cercando di avvolgerci con un telo termico che il vento vuole a tutti i costi strapparci via. Un attimo di tregua e cerchiamo di riposare (o siamo svenuti per la stanchezza?!).

Un fulmine ci cade vicino e siamo trapassati da una scarica d’energia, sembrava aver il fuoco di Sant’Elmo! Addosso si vedevano le scintille elettriche che danzavano sui moschettoni e sui cordini bagnati!

Di nuovo in piedi puntiamo verso la cava dove parte il sentiero che porta al rifugio. Finalmente siamo alla cava e troviamo il sentiero ma il vento urla sempre di più e scariche elettriche percorrono i cavi diamantati di taglio del marmo colpiti dai fulmini… quando siamo a pochissimi metri dall’Aronte ci rendiamo conto che siamo arrivati, buttiamo letteralmente giù la porta per entrare e il giorno dopo c’è un sole che spacca le pietre.

L’ndomani usciamo dal rifugio e ci rendiamo conto che avevamo lasciati i sacchi a pochi metri da un imponente dirupo, ancora una decina di metri e non oso pensare cosa sarebbe successo…

Comunque il week end successivo siamo di nuovo in grotta come se non nulla fosse successo, in attesa di nuove avventure!

Dal 1932 il Gruppo Speleologico di Bologna conduce esplorazioni e studio di cavità naturali e artificiali.

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