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Grotta del Farneto: scavi nel cunicolo infernale

Di Jenny Bertaccini

A voi amici lettori, non nascondo una certa ansia da prestazione nello scrivere questa relazione poiché l’uscita, diversamente da quello che credevo inizialmente, ha assunto i connotati dell’epica. Partiamo dall’inizio. Mi aggrego grazie all’insistenza di Paoloner (Paolo Calamini) che, alla mia dichiarazione: “Ma che ci faccio, è un’uscita da maschi alfa”, mi risponde: “Finiscila, prepara tutto, muta compresa, che tra 30 minuti passo a prenderti”. Per sicurezza mi porto anche il costume da bagno e l’Internazionale, la rivista, ipotizzando un mio magro coinvolgimento. Mai aspettativa fu più sbagliata.

All’arrivo al parcheggio, la mia partecipazione come unica quota rosa riscuote un certo interesse e, alla mia conferma di avere con me una muta da 5 mm, vengo arruolata in una delle squadre che entreranno nel leggendario cunicolo. Si tratta di una delle zone più a monte della famosa Grotta del Farneto, dietro alla quale si celano alcuni vasti ambienti raggiunti in qualche rara occasione negli anni ’60 e ’70 dagli speleo di Modena guidati da M. Bertolani. Oggi il cunicolo non è più praticabile, e diversi quintali di “motriglia” (fango liquido poltiglioso e colloso) e acqua impediscono di progredire e raggiungere questi fantomatici e ormai misteriosi ambienti.

Faccio spallucce e penso che sia molto meglio così, piuttosto che stare al sole con noiosi articoli da giornale. Mi viene anche comunicato che nessuna donna ha avuto, fino ad ora, la voglia (a posteriori dichiaro che non è assolutamente questione di audacia, si tratta proprio di trovare la voglia dentro di sé di immergersi dentro quella m….a) di entrare in questa infernale cloaca dei Gessi bolognesi. Anche in questo caso penso che non mi dispiaccia, in fondo, l’onore di tale primato. Si parte con sicurezza: Paoloner e Piso (Luca Pisani) compongono la prima squadra che entra nel cunicolo fino al punto più largo raggiunto per controllare il livello di acqua e cercare di abbassarlo e facilitare i lavori di avanzamento; la seconda squadra con i fratelli Massimo e Giorgio Dondi e la mia aggiunta per proseguire l’avanzamento nel pertugio da cui proviene aria. La terza squadra composta da coloro che non hanno muta per immergersi, ovvero Minghino (Massimo Fabbri), Nimitz (Giuliano Rodolfi), il Rasta (Michele Fantuzzi) e l’inossidabile Sommo (Giancarlo Zuffa). Più tardi ci raggiungerà Lupo (Luca Grandi), per immergersi anche lui nel fantastico cunicolo delle meraviglie.

Primo obiettivo: adottare la tecnica moderna della pompa per svuotare il cunicolo dell’acqua residua della volta scorsa, che, fortunatamente, non è aumentata. Entrano Piso e Paoloner fino allo slargo dentro il cunicolo, stendendo il tubo necessario a raccogliere l’acqua; si posizionano anche Minghino e Max per tenere in posizione il tubo. Gli addetti alla pompa Nimitz ed io. Inizia l’egregio lavoro di pompaggio di Nimitz, mentre io lo aiuto a tenere salda la pompa, che purtroppo non ottiene il risultato sperato di richiamare acqua dal cunicolo, colpevole forse la lunghezza del tubo e il dislivello del cunicolo (non è certo il demerito dell’arduo lavoro di pompaggio di Nimitz, che risulta ai miei occhi davvero encomiabile…insomma: ha fatto una gran pompa). Si finisce quindi a ricorrere ai vecchi e fidati metodi, di svuotamento tramite secchi. Raggiungo Minghino che, posizionatosi poco prima dell’ingresso “a collo d’oca” del proverbiale cunicolo, individua un agevole scolo in cui versare gran parte dell’acqua che i due in avanscoperta ci mandano. Finita l’acqua inizia il secondo obiettivo: svuotare la saletta dalla motriglia, in modo da creare le condizioni ottimali per la disostruzione dell’apertura individuata in saletta. Arrivano enormi secchi gonfi di motriglia pesantissima e appiccicosa, che Minghino gentilmente alleggerisce nello scolo a fianco e poi mi passa per attivare la meravigliosa macchina a catena che grazie a Max, Giorgino, Rasta, Nimitz e l’incommensurabile Sommo Zuffa, porta la motriglia fuori dal cunicolo. Un’intensa motriglia che vedo fuoriuscire dai secchi, che è niente rispetto a quello che mi aspetta tra poco.

Sono interminabili momenti di attacca e stacca secchi, si lavora con un ritmo bello, sostenuto, insomma una macchina oliata e perfettamente funzionante, coadiuvata dal fatto che siamo un bel numero per fare funzionare in maniera sostenuta la catena. Piso e Paoloner ci annunciano che adesso la saletta è più libera e consente di lavorarci più agevolmente. Il gruppo riscontra adesso un po’ di confusione da “entro io, no entri tu, io sto ancora dentro, io ancora resisto a mollo ma non so quanto” fino a che non prende in mano la situazione Minghino che si dichiara momentaneo leader per dirimere il breve momento di disagio, dichiarando “voi due uscite dal cunicolo, che entrano Jenny, Max e Giorgino”. 

Così è fatta, mi si apre davanti agli occhi, nella penombra, un piccolo antro che va chiudendosi, con un soffitto sempre più basso, chissà se promette un’apertura più in là. Ma non è il soffitto basso che richiama l’attenzione, è la melma galleggiante di cui è impossibile valutarne la profondità e vederne la fine. E’ densa come melassa e il luccichio dell’acqua di cui è impregnata sembra farti l’occhiolino per dirti “vieni, vieni, sentirai che bell’abbraccio!”.

Anche in questo caso faccio spallucce e mi immergo in quelle sabbie mobili, per nulla accoglienti, che ostacolano i movimenti già resi complicati dalla muta spessa sotto la tuta. L’avanzare crea inoltre un effetto “onda” che ti copre ritmicamente il collo e parte del viso, insomma non è proprio come stare in piscina, però anche il fango ha il suo lato divertente, fa tornare bambini. Arrivo finalmente allo slargo dove effettivamente c’è modo di stare un pochino fuori dalla motriglia, almeno con la parte superiore del corpo, insomma: non è basso e stretto come nel tratto precedente. Mi raggiungono Max e Giorgino che per sua sfortuna, essendo l’ultimo e addetto al riempimento sacchi, è completamente immerso sdraiato nella motriglia. Oltretutto ha una muta molto sottile, patirà inevitabilmente parecchio freddo in questo posto fradicio e ventilato.

Con la delicatezza che lo contraddistingue, Max inizia una miracolosamente pulita ed attenta opera di disostruzione del passaggio con aria, coadiuvato da un’altra macchina a catena, sicuramente in posizione più scomoda rispetto a prima, che riempie secchi di motriglia e detriti che passiamo alla squadra posizionata nel cunicolo più alto, dove ora si sono posizionati Piso e Paoloner, sotto alla saggezza dell’instancabile Sommo Zuffa e con l’aggiunta di Lupo appena arrivato. L’apertura individuata continua a soffiare aria e dà adesso su una zona di crollo che sale verso l’alto, ma ancora stretta: va ispezionata più nel dettaglio. Io esco subito dopo Giorgino, per lasciare entrare Piso e Lupo per far vedere anche a loro come si presenta la situazione sul fronte di scavo.

Se l’entrata è stata complessa, l’uscita non la dimenticherò mai! Immersa fino alla bocca nella motriglia, con i movimenti che si fanno davvero difficili e lenti per la motriglia, per la muta, per il freddo ma soprattutto per una certa stanchezza accumulata, guadagnare l’uscita diventa adesso davvero un’impresa. Il casco mi si incastra nel “collo d’oca”, non vedo nulla perché l’impianto di illuminazione è coperto completamente di fango. Sento la motriglia fredda sulle labbra, a un passo dal naso. Piego la testa a destra e riesco a scastrare il casco, ok ora ci passo, vedo la luce di Piso che mi aspetta dall’altra parte, dai, un ultimo sforzo, un’ultima nuotata in questa m….a e riesco a venirne fuori, da questo sporco colon intestinale del Farneto. Wow che passaggio!!! Usciamo così ridotti, male ovviamente, infangati ovunque, in coda alla visita turistica che ha appena terminato l’escursione nel ramo principale della Grotta, tra lo stupore degli adulti e gli sguardi di ammirazione dei bambini. 

Vi chiederete a questo punto, dove stia l’epica in questo racconto. Innanzitutto, sta nel fatto che siamo a un passo dalle leggendarie sale dei Modenesi e lo dico con una certa dose di certezza perché un passaggio così ostico e infernale come quel cunicolo non può che essere il preludio di qualcosa di grande, di mitologico come le sale dei Modenesi. Secondo fatto epico, mi riportano che il Sommo Zuffa si è espresso nei miei confronti con la dichiarazione: “Jenny? Jenny è una belva.” Un appellativo di questo livello assegnatomi da quello che Paoloner ha giustamente definito “un pioniere della Speleologia Italiana” come il Sommo Zuffa, è una delle onorificenze più grandi che potessi desiderare. Wow che onore! Ripaga ogni fatica! E l’epica non finisce qui. L’epica di questa uscita è racchiusa anche nell’opera di lavaggio di sè stessi e dell’attrezzatura nel fiume Idice (visto che ho fatto bene a portarmi il costume da bagno!) sotto un’improvvisa e fredda pioggia torrenziale condita da chicchi di grandine grandi come noci. Rimarrà nei nostri occhi tutta la romagnolosità di Paoloner che, non curante della violenta grandine, continua, sotto gli sguardi attoniti nostri e di una famigliola incauta rifugiatasi nell’auto di Lupo, a lavare imperterrito la sua attrezzatura, indossando solamente il costume da bagno e il casco da grotta a protezione per la grandine. Insomma, grazie amici, compagni di cunicoli infernali, per la divertentissima ed epica giornata trascorsa insieme. Vi assicuro, a voi che leggete, che le risate sabato non sono mai mancate.

Mi rendo ben conto di essere stata terribilmente prolissa e mi perdonerete per questo, ma permettetemi di chiudere con due riflessioni da filosofa. Ho ancora nella mente lo sguardo di curiosità e ammirazione della bambina al parcheggio e il sorriso meraviglioso che mi ha fatto annuendomi quando al termine del mio racconto le ho chiesto: “Vero che lo farai anche tu tra qualche anno?”. Spero di aver trasmesso a quella bambina, a quella futura donna, la convinzione che nella vita può fare tutto, che se sarà in grado di immaginare e di provare tutto quello che vuole con entusiasmo e senza pregiudizi e insicurezza, otterrà risultati al pari e forse anche oltre quelli che otterranno i suoi amichetti maschi. Purtroppo una società maschilista con tendenze paternalistiche come la nostra, ci prova costantemente a spegnere l’entusiasmo e l’autostima, ci costringe a crescere con racconti costellati da eroi maschili, ci costringe a immedesimarci sempre con figure maschili perché sono ancora poche, nel nostro racconto collettivo, le figure femminili in cui i bambini possano immedesimarsi, ma attenzione: non perché non ce ne siano, ma perché non vengono raccontate, non trovano il giusto spazio, appunto, nel racconto collettivo. In realtà anche noi possiamo essere belve o, come direbbe la Murgia, noi siamo tempesta.

Ultima riflessione, poi la chiudo davvero, intrinsecamente filosofica, che mi pongo e che mi è stata spesso posta: cosa spinge alcuni essere umani a immergersi nella m….a fino al collo in un cunicolo e stare a mollo in posizione scomodissima per ore? Sicuramente non possiamo dare una risposta in poche righe a un quesito così complesso, che oltre al piano esistenziale forse abbraccia anche quello psicologico, ma voglio lasciarvi con uno spunto di riflessione. Non sembra forse una condizione metaforica della condizione esistenziale umana, che galleggia in un mondo piuttosto pieno di m…..a?

Quel tentativo di liberare il cunicolo dalla motriglia, facendolo tutti insieme in un autentico e condiviso lavoro di squadra, in maniera divertente, insieme a quella pura e genuina gioia quando riesci a uscire da quella motriglia appiccicosa che cerca di trattenerti, non può diventare forse metafora del tentativo umano di togliere, collettivamente e con una certa dose di leggerezza, un po’ della m…a che c’è al mondo in superficie e, insieme, provare a uscirne, provare a togliercene un po’ di dosso? Insomma, sì, potrei andare avanti ore con questo “pippone”, ma mi fermo al piano della sollecitazione.

Baci fangosi a tutti!

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