Tre oggetti di uso speleologico
A cura di E. Scagliarini
Nei lunghi anni di militanza nel G.S.B. mi sono trovato dinnanzi ad alcuni problemi da dover risolvere. Due quasi contemporanei, che concernono tecniche e strumentazioni per la progressione in grotta di qualche decennio or sono: impianti di illuminazione e scalette. Ambedue erano stati già affrontati da altri soci precedentemente, ma in maniera più estemporanea che sistematica.
Scalette
Ci si trovava dinnanzi ad una congerie abbastanza difforme di soluzioni pur di risolvere i problemi basilari di questi importanti attrezzi: sicurezza, volume, leggerezza e tecnica costruttiva. Standardizzato il diametro della fune di acciaio inox AISI 316 a mm 3 e 133 fili, i pioli ricavati da tubo di Lega Leggera (LL) ad alta resistenza, diametro mm 14-12 (esterno-interno) lunghi mm 150 e con anelle in acciaio con intaglio a 90° per consentire l’aggancio di spezzoni consecutivi (anelle italiane) ricavate da catena da paranco, restavano aperti due problemi: il fissaggio dei terminali con redancia ed anelle, ed il bloccaggio dei pioli sulle funi.
Il primo lo risolsi impiegando manicotti Talurit con relative sagome di pressaggio, detto sistema garantisce un carico di tenuta superiore al Kr (carico di rottura) delle funi impiegate. Il secondo mediante la foratura agli estremi dei pioli con 4 fori ortogonali per ogni estremo. 2 in asse con diametro da 3,2 mm per il passaggio delle funi, e 2 ortogonali a questi con diametro da 6,2 mm, per bloccare sotto pressione mediante appositi punzoni, boccole di rame ricavate da tubo di diametro 6-4 mm, e lunghi 8 mm, sistemate internamente ai pioli. Una scaletta standard lunga 10 metri aveva un peso di 1,45 kg.
Successivamente costruii, sempre con analoga tecnologia, scalette sempre più leggere e di più ridotto ingombro sostituendo in tutti i modelli la fune, sempre inox, con una diametro da 2,5 mm e pioli da 12-10 mm, lunghi 14 cm. Le anelle italiane costruite appositamente con acciaio speciale da 6 mm, permettevano al peso di scendere a 0,950 kg per lunghezza da 10 m. Un ulteriore modello con impiego di materiali dell’industria aerospaziale mi permise di costruire alcune scalette con fune dal diametro di 2 mm e pioli di 12-10 mm, lunghi 13 cm, con boccole di fissaggio interne prodotte al tornio a revolver.
Ero arrivato a 0,45 kg per lunghezza di 10 m. Di queste scalette ne abbiamo prodotte a centinaia, vendute ed utilizzate un po’ in tutta Italia.
Impianto di illuminazione
Il socio Carlo D’Arpe aveva iniziato a fare alcuni componenti per gli impianti ad acetilene. Su suo suggerimento, iniziai a far produrre parabole inox da un tornitore a lastra. Quindi tutte uguali e con identico fuoco. Ne abbiamo vendute a tanti gruppi speleologici. Pipette in ottone porta beccuccio su casco di ottone tornito e con innesto saldato per fissaggio senza morsetti del tubo di gomma proveniente dalla lampada.
Innesto, sempre in ottone tornito, sulla lampada per la partenza del tubo di gomma, sempre senza morsetti. Tutti i componenti degli impianti di illuminazione vennero standardizzati: viti di ottone 3 MA. La lampada a carburo fu fatta modificare facendo inserire al suo interno una parte in acciaio inox quale fondo del serbatoio acqua a contatto con il sottostante carburo di calcio.
Fu così eliminato uno dei più gravi problemi di dette lampade: la corrosione del diaframma acqua-carburo con conseguente sfondamento ed inutilizzo dello strumento di illuminazione.
il discensore cavatappi
Ultima invenzione. Invece di utilizzare il sistema a carrucole, impiegai la logica dell’avvolgimento e svolgimento della corda che, entrando in una anella di apposite dimensioni, si inseriva in una spirale di tondino di acciaio trattato nella quale veniva inserito in moschettone di aggancio all’imbrago. Né la corda né il moschettone potevano uscire accidentalmente.
Il peso e l’ingombro erano modestissimi, il costo adeguato e il Kr pari o superiore a quello della corda impiegata. Per vario tempo fu il discensore più usato da molti speleo . Pochi anni fa facemmo delle prove termiche sul riscaldamento dei vari tipi di discensori e risultò essere quello che riscaldava meno il nylon.
La ragione? Il principio di funzionamento non era legato esclusivamente alla superficie di attrito.
Con un certo orgoglio, queste auto produzioni fanno bella mostra di sè in diversi storici impianti esposti nel Museo di Speleologia L. Fantini del GSB-USB.