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Gli orsi delle Caverne

di Giuseppe Rivalta

L’orso nella storia dell’uomo

Fin dall’epoca glaciale l’immagine di questo grande mammifero compare in Europa, Asia e Nord America, continenti in cui questo animale è ancora ampiamente presente. Nella preistoria europea, la raffigurazione dell’orso é tanto frequente da far supporre che dovesse esistere una sua specifica funzione totemica, particolarmente diffusa tra i gruppi umani che vivevano in territori coperti da foreste e ricchi di grotte. 35.000 anni or sono l’orso, nella cosiddetta Arte rupestre (specialmente nel Sud della Francia) viene riprodotto nelle incisioni su roccia (es. grotta di Chauvet), ma anche con statue di fango, come quella scoperta da Norbert Casteret nella grotta di Montespan (1923). Ne troviamo altre nella grotta di Trois Frères e Les Combarelles; alcune di queste sculture in argilla sono state datate intorno ai 15.000 anni da oggi. Probabilmente questi tentativi di rappresentazione nascevano da esigenze sciamaniche, allo scopo di ricavarne forza e potere. In ragione dei numerosi ritrovamenti, si è avanzata l’ipotesi che esistesse un vero e proprio Culto dell’Orso che, con il passare dei millenni, sarebbe rimasto vivo nelle culture di numerose tribù asiatiche e Nord Americane.

Tra le grotte in cui si ritiene si siano sviluppate tali ritualità, meritano di essere ricordate la Drachenloch in Svizzera in cui – insieme a focolari di fattura neanderthaliana – sono stati trovati teschi di orso e la grotta di Regourdou, in Francia, con strutture di pietre collegabili a riti legati all’orso. In Liguria, nella Grotta Basua, vi è una stalagmite zoomorfa circondata da palline d’argilla e ossa d’orso. Molte sono anche le raffigurazioni graffite o dipinte in altre cavità, a dimostrazione dell’interesse che l’uomo preistorico nutriva nei suoi confronti. In epoca storica ritroviamo l’orso nei miti dell’antica Grecia (le costellazioni dell’Orsa Maggiore e Minore e costituiscono un significativo esempio), mentre tra i Celti era simbolo di forza e virilità. La radice nord europea della parola orso è art, con alcune variazioni ed infatti v’era la dea della guerra Andartam; alcuni autori riconoscono in Re Artu una derivazione etimologica celtica. Si tratta delle stesse popolazioni che chiamavano Carro di Arthur la costellazione dell’Orsa Maggiore.

Nel Nord Europa l’orso evocava un’immagine di invincibilità, sì che in un resoconto lasciatoci da San Bonifacio (un giusto che tentò di portare il Cristianesimo in Germania) si legge che tali genti guerriere erano solite coprirsi con la sua pelliccia, mangiarne le carni e berne il sangue prima di andare in battaglia, allo scopo di acquisirne la forza. Considerato nell’antichità Re degli Animali, nel Medio Evo perde l’alta considerazione goduta e viene sostituito dalla figura del Leone. Nei primi secoli dell’anno 1000 all’orso capita addirittura di essere demonizzato dal Cristianesimo, che forse vuole prendere le distanze dai culti pagani. Sempre più spesso sarà associato al diavolo, seguendo il triste destino dei pipistrelli. Viceversa in tutto l’Oriente l’orso conserverà a lungo, tra i popoli meno coinvolti dall’incombente modernizzazione, un ruolo importante nell’immaginario e nella ritualità.

Nelle popolazioni indigene del Nord America, l’orso ricopre un rilevante ruolo nel mondo animista che le ha sempre caratterizzate, in cui sembra di poter ravvisare una radice culturale preistorica evidentemente asiatica. Nello zodiaco dei Pellirosse questo poderoso mammifero diviene simbolo di costanza e coraggio, oltre che di grande equilibrio. Molti capi indiani assumeranno il nome Orso, variamente aggettivato.

Note biologiche

Origine di un nome
In passato, le ossa trovate in numerose grotte europee furono considerate come misteriosi resti di draghi, di unicorni e di altri esseri mostruosi. Ancora oggi diverse cavità svizzere e tedesche portano l’appellativo di “Drago”. Nel 1774 Johann Friederich Esper, naturalista tedesco, nel suo libro Recenti scoperte di zooliti di sconosciuti animali a quattro zampe parla per la prima volta di Orsi delle caverne (in realtà egli pensava si trattasse di orsi polari). Occorre arrivare al 1794, quando un anatomista dell’Università di Lipsia, Johann Christian Rosenmüller, definisce i reperti con genere e specie (Ursus spelaeus Rosenmuller 1794).

Come si è evoluto?
Il genere Ursus sembra fosse già presente nel Miocene (25 -8 milioni b.p.). Ebbe una diffusione nel successivo periodo pliocenico e pleistocenico, quando alcune specie e razze si estinsero. I più antichi esemplari risalgono a circa 600.000 anni fa (Glaciazione di Mindel). La loro più ampia diffusione nell’emisfero boreale copre un arco di tempo compreso tra gli 80.000 e i 18.000 anni or sono. L’evoluzione dell’Orso delle caverne (insieme all’Orso bruno) deriva dall’Ursus etruscus, vissuto nel Plio – Pleistocene tra i 5,3 milioni b.p. ed il 10.000 b.p.. Il più vicino precursore dell’Orso delle caverne fu, probabilmente, l’Ursus deningeri, vissuto nel Pleistocene tra 1,8 milioni b.p. e i 100.000 anni da oggi. Durante l’ultimo Interglaciale del Wurm il nostro orso appare numericamente significativo, se pur con tipologie inizialmente non ancora del tutto definitive. L’elemento morfologico che maggiormente caratterizza questo mammifero è la trasformazione che interessa i denti ed in particolare i 3 premolari anteriori che hanno subìto una riduzione fino a scomparire, probabilmente a causa di una dieta che progressivamente stava diventando tipicamente vegetariana. L’ultimo premolare si unisce con i veri molari, acquisendo bordi più taglienti e corona allargata (fenomeno di molarizzazione). Con questo adattamento sarebbe stata favorita la masticazione e la triturazione delle fibre vegetali. Molto robusta era la muscolatura dei mascellari.

Ipotesi sulle cause dell’estinzione
Tra 60.000 e 30.000 anni da oggi il clima si presentò estremamente favorevole (Fase Interstadiale del Wurm), al punto da permettere la distribuzione di questi animali anche ad alta quota nelle Alpi. In quel periodo la vegetazione era abbondante, anche se le piante, per il fattore limitante dell’altitudine, erano di minori dimensioni: un tipico caso di adattamento all’ambiente. Da ricerche effettuate con datazioni al radiocarbonio, sembra che l’Orso speleo si sia estinto più o meno 26.000 anni fa, durante un periodo in cui l’espansione della calotta glaciale stava per raggiungere il suo apice. In quelle condizioni ambientali era altrettanto diffuso il permafrost, ovvero il terreno sempre ghiacciato, fenomeno che certamente influenzava lo sviluppo delle specie vegetali, alimento base per questi plantigradi. Solo più tardi sarebbero scomparse le altre faune predatrici (leoni e iene delle caverne) che fino a quel momento avevano condiviso l’habitat degli orsi. I gruppi stanziati a Sud delle Alpi sopravviveranno un po’ più a lungo rispetto a quelli dell’Europa centrale. Alcuni autori ipotizzano che un altro fattore scatenante potrebbe essere stato di matrice genetica, con la conseguenza di un indebolimento della specie. Forse la dentatura divenne più fragile e meno adatta a frantumare i vegetali a più elevato contenuto legnoso, con gravi ripercussioni su una dieta divenuta insufficiente a coprire le sue esigenze caloriche. Rispetto all’Orso Bruno, più duttile e meglio adattabile ad un ambiente che stava mutando, quello delle caverne era abituato a svernare solo ed esclusivamente nelle grotte. Oggi si fa strada un’ipotesi (sec. Björn Olof Lennartson Kurtén), secondo la quale per questo animale super specializzato, potrebbe essere diventato un serio problema trovare cavità idonee a trascorrervi inverni sempre più rigidi. A questo occorrerebbe sommare gli effetti della contenuta ma significativa esplosione demografica dell’ Homo sapiens e di quello di Neanderthal.
In ogni caso l’involuzione genetica pare aver avuto inizio già prima dei deterioramenti climatici, ma genti guerriere erano solite coprirsi con la sua pelliccia, mangiarne le carni e berne il sangue prima di andare in battaglia, allo scopo di acquisirne la forza. Considerato nell’antichità Re degli Animali, nel Medio Evo perde l’alta considerazione goduta e viene sostituito dalla figura del Leone. Nei primi secoli dell’anno 1000 all’orso capita addirittura di essere demonizzato dal Cristianesimo, che forse vuole prendere le distanze dai culti pagani. Sempre più spesso sarà associato al diavolo, seguendo il triste destino dei pipistrelli. Viceversa in tutto l’Oriente l’orso conserverà a lungo, tra i popoli meno coinvolti dall’incombente modernizzazione, un ruolo importante nell’immaginario e nella ritualità. Nelle popolazioni indigene del Nord America, l’orso ricopre un rilevante ruolo nel mondo animista che le ha sempre caratterizzate, in cui sembra di poter ravvisare una radice culturale preistorica
evidentemente asiatica. Nello zodiaco dei Pellirosse questo poderoso mammifero diviene simbolo di costanza e coraggio, oltre che di grande equilibrio. Molti capi indiani assumeranno il nome Orso, variamente aggettivato.

Etologia

Non sono ovviamente note le abitudini di vita degli orsi delle caverne, ma facendo un confronto con quelli attuali viventi in climi freddi, si può ipotizzare un loro modello di ciclo vitale. L’Orso Bruno filogeneticamente è il più vicino a quello delle caverne. Percependo l’arrivo della stagione fredda, in autunno questi plantigradi aumentano l’approvvigionamento di cibo, fino al momento in cui cominciano a cercare un rifugio ben protetto dalle avversità dell’inverno. La grotta è il luogo ideale, grazie alla sua temperatura in media più alta di quella esterna. Quando arriva il periodo del letargo (che non è una vera ibernazione) lo stomaco si restringe e l’animale cessa di cibarsi, perché le calorie accumulate sono sufficienti a superare i mesi freddi. Una massa di grasso si è accumulata sul dorso, creando una vistosa gibbosità. Durante il periodo del sonno, la temperatura del corpo può scendere anche a +5°C dai +32 / +35°C caratteristici della vita attiva. Analogamente diminuiscono i battiti cardiaci. L’animale non defeca, né urina, anzi i cataboliti prodotti (che sarebbero dannosi al suo organismo) vengono riciclati. Queste informazioni si sono ottenute studiando appunto l’orso americano che è considerato – come già accennato – molto simile al suo predecessore pleistocenico.

In primavera, percependo l’arrivo di un miglioramento climatico, esce dal suo rifugio visibilmente smagrito ed inizia la ricerca del cibo, per reintegrare le energie perdute. Durante la fase di dormienza, analogamente a quello americano, le femmine di Ursus spelaeus, dopo che l’ovulo fecondato si era precedentemente impiantato nell’utero, partorivano 2 o 3 piccoli i quali cominciavano a cibarsi del latte dalla madre che continuava a dormire. L’allattamento verosimilmente proseguiva per 6 mesi ed oltre. Nell’habitat di questo grande mammifero erano diffusi anche il Leone (o Tigre) delle caverne e la Iena delle caverne, seppure con nicchie ecologiche diversificate. L’Uomo di Neanderthal fu un accanito cacciatore di orsi, ma non abbastanza da poter essere considerato una causa diretta della loro estinzione.

Essi avevano dimensioni ragguardevoli, che potevano raggiungere i tre metri d’altezza e gli 880 kg di peso (gli esemplari maschi adulti). Nell’ambito di questa specie, vi era un ben evidente dimorfismo sessuale e le femmine avevano una taglia più piccola. Tipica dell’Orso delle caverne la fronte bombata.

L’habitat cavernicolo
In Italia numerose sono le grotte che contengono in abbondanza le ossa di questo mammifero estinto. Tra le più note ricordiamo in Piemonte le grotte di Monte Fenera, in Lombardia il Buco del Piombo e la Grotta dell’Orso, in Alto Adige la Caverna delle Conturines, in Venezia Giulia la Grotta dell’Orso, oltre ad altre nel Carso, in Liguria la Grotta di Toirano (in cui oltre a ossa e segni impressi nella roccia dagli orsi, vi sono anche impronte lasciate dall’Uomo di Neanderthal), in Umbria nella Grotta di Monte Cucco. Altrettante presenze di questo fossile sono state identificate in Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Svizzera (Drachenloch), Austria (Caverna del Rabesch), Romania (nella Grotta dell’Orso sono stati rinvenuti 140 individui) e Bosnia-Erzegovina (Grotta di Vjetrenica), con resti di orsi e disegni preistorici.
A corredo di quanto esposto, merita ricordare che anche in Romagna sono stati trovati Orsi delle caverne. Pur trattandosi di scarsi reperti, tuttavia la loro presenza costituisce un’importante testimonianza paleobiogeografica. Dalla Grotta G. Leoncavallo e dalla Grotta Rosa Saviotti nei Gessi di Brisighella e nella Risorgente del Rio Cavinale di Rontana-Castelnuovo sono uscite testimonianze sicuramente riferibili ad Ursus spelaeus. L’ultima scoperta risale al 2011, quando nella Risorgente delle rane (Rio Basino – Vena del Gesso Romagnola) sono stati raccolti un dente ed un metapode (III°-IV° metacarpo dx) di tali animali, anche se con tracce di fluitazione. Al contrario di ciò, nel settore emiliano non sono finora state trovate analoghe tracce, eccezion fatta per una mandibola di Iena spelaea (Grotta Serafino Calindri, Croara), ma questo è un discorso che rimane ancora aperto.

La mortalità
Durante il periodo di letargo, molti esemplari trovavano la morte per varie ragioni. Tra queste cause vi era senz’altro quella di non essere riusciti a raggiungere la giusta quantità di riserve lipidiche durante la stagione estivo-autunnale. Da non sottovalutare anche i decessi per invecchiamento (potevano forse vivere una ventina d’anni) e le malattie. Infatti dall’esame di numerosi reperti osteologici sono state diagnosticate patologie legate a calcoli alla cistifellea, osteomieliti, periostiti, eccessiva erosione dentale, necrosi (specialmente in esemplari giovani), tumori ossei ecc.

Le Iene spelee potrebbero inoltre aver approfittato della letargia di questi animali per sopraffarli, specialmente verso la fine del periodo invernale, quando essi erano maggiormente defedati. In alcuni casi si sono trovati anche scheletri di Leoni delle caverne, probabilmente morti nel tentativo di attaccare l’orso in dormienza. Anche le volpi possono aver partecipato a questi banchetti. La presenza di molti scheletri d’orso in posizione non anatomica tende ad avvalorare queste ipotesi.

Cimiteri di orsi spelei

La presenza di quantità considerevoli di resti di orso in grotta non ha avuto ancora una spiegazione soddisfacente. Una risposta che però non può essere considerata una regola, la si è trovata in Romania nella Pestera Ursilor, nelle vicinanze del paese di Chiscau (Prov. di Bihor). La cavità si apre ad un’altezza di 482 m slm ed è molto concrezionata. In un giorno imprecisato del Pleistocene all’interno vi erano 140 animali, probabilmente in letargo. Improvvisamente una frana di massi scivolò sull’ingresso, ostruendolo per sempre. Dal modo in cui le ossa sono distribuite all’interno della cavità si suppone che intrappolati, terrorizzati e a corto di cibo, essi abbiano finito per sbranarsi. I loro resti vennero coperti dal tempo con veli di concrezioni, come generalmente accade.

Probabilmente, dovendo istintivamente trovare un riparo all’interno di una cavità e per la scarsità di rifugi disponibili, questi plantigradi – non certo amanti del branco, come i lupi – accettavano di convivere in numero anche cospicuo nello stesso luogo, adattandosi a soggiornare accanto ad animali morti e forse già semi-mummificati.

Dal 1932 il Gruppo Speleologico di Bologna conduce esplorazioni e studio di cavità naturali e artificiali.

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